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L’avviso con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica il prezzo di cessione di una compravendita immobiliare fondato esclusivamente sui valori OMI non è legittimo. Tali indici, infatti, non sono ritenuti, di per sé, idonei e sufficienti a certificare il valore dell’immobile, che può variare in funzione di molteplici parametri.
Questo il principio, espresso dalla Corte di Cassazione (Sez. V) nella sentenza del 15 dicembre 2017, n. 30163 (clicca qui per scaricare), che ribadisce l’infondatezza di un accertamento dell’Agenzia delle Entrate basato esclusivamente sullo scostamento tra il prezzo indicato nel rogito e il valore risultante dall’applicazione dei valori OMI.
La questione nasceva dall’impugnazione, da parte dei contribuenti, di un avviso con cui l’AdE aveva rettificato il valore dichiarato in quattro compravendite immobiliari relative a porzioni di terreni edificabili.
In particolare, gli Uffici avevano accertato il maggior valore sulla base degli indici OMI, senza valutare le perizie di parte da cui emergeva la sussistenza di alcuni vincoli all’edificabilità, l’esistenza di un obbligo di cessione gratuita al Comune e la necessità di sottoporre il comprensorio a sondaggi archeologici preventivi.
Sul punto la Corte di Cassazione, confermando un orientamento consolidato (Cass. n. 20089/2017; Cass. 18651/2016), ha ribadito che i valori OMI non sono idonei, da soli, a sostenere la pretesa impositiva legata al maggior valore dei beni, essendo necessario a tal fine il riferimento a parametri ulteriori.
Pertanto, come confermato dalla Cassazione, il “valore venale in comune commercio”[1] che costituisce la base imponibile ai fini dell’imposta di registro, va definito non solo in riferimento ai valori OMI, ma in relazione a una serie di altri parametri quali ad esempio, per le aree edificabili, l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, e lo stato delle opere di urbanizzazione.
[1] Ai sensi dell’art. 51 del DPR 131/86 (TUR).
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