ANCE conferma e precisa nuovamente il proprio orientamento in merito alle modalità di valutazione fiscale dei maggiori importi ricevuti, a titolo di corrispettivo, dalle imprese esecutrici di appalti pubblici come adeguamento dei prezzi dovuto al cd. “caro materiali” (cfr. l’art.1-septies del DL 73/2021, convertito con modifiche in legge 106/2021 e l’art.26 del D.L. 50/2022, convertito con modifiche in legge 91/2022 e s.m.i.).
Sul tema, si richiama quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n.39/E/2022, circa il fatto che tali somme hanno natura di maggiori corrispettivi contrattuali e, come tali, sono da assoggettare ordinariamente ad IVA.
Da tale assunto, anche in assenza di ulteriori specifici chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria, si ritiene che la qualificazione dei predetti importi come corrispettivi, possa valere anche ai fini delle imposte sul reddito IRES e dell’IRAP, con la conseguenza che, sia sul piano fiscale, gli stessi costituiscono ricavi, concorrendo alla formazione della relativa base imponibile.
Al riguardo, si evidenzia che la corretta imputazione di tali somme in uno specifico periodo d’imposta segue, nella determinazione del reddito d’impresa, il principio di competenza (ai fini fiscali, ai sensi dell’art. 109 del D.P.R. 917/1986 – TUIR), con la particolarità che, trattandosi nel caso di specie di maggiori corrispettivi per lavori edili, occorre richiamare anche le disposizioni fiscali in tema di lavori su commessa.
In linea generale, infatti, gli stessi entrano a far parte del valore delle rimanenze, da valutare dal punto di vista fiscale con criteri diversi a seconda che i lavori abbiano durata annuale (art.92 del TUIR) o pluriennale (art.93 del TUIR).
In particolare, in caso di lavori di durata infrannuale (inferiore a 12 mesi), la determinazione del reddito imponibile viene effettuata in base ai costi/ricavi verificatisi interamente nel periodo d’imposta di ultimazione dei lavori (art.92, co.6, del TUIR), secondo il metodo contabile, riconosciuto anche ai fini fiscali, della “commessa completata”.
Ciò, quindi, vale anche per i maggiori corrispettivi ricevuti in tale arco temporale come compensazione dei maggiori costi delle materie prime, che diventano ricavi nell’anno di ultimazione dei lavori (ad es. il 2024).
Diversamente, in presenza di lavori di durata ultrannuale (superiore a 12 mesi), valutati invece in base ai corrispettivi pattuiti, in ogni singolo esercizio d’imposta viene assoggettata a tassazione la quota parte di reddito calcolata sui costi/ricavi verificatisi nell’anno, con il metodo della “percentuale di completamento” operante, anche in tal caso, sia ai fini fiscali che contabili.
In tale valutazione rientrano, quindi, anche le maggiorazioni ricevute dall’impresa come adeguamento dei prezzi dell’appalto, da assumere anch’esse come ricavi sempre in base alla “percentuale di completamento” riferita allo specifico periodo d’imposta.
In relazione a questa seconda ipotesi, si precisa ulteriormente che, in presenza di maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge, o di clausole contrattuali, delle stesse si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50% (cfr. l’art.93. co.2, secondo periodo del TUIR).
Pertanto, si ritiene che le citate maggiorazioni, dovute per legge, ai sensi dell’art.26 del DL 50/2022, solo ove non ancora certe sotto il profilo dell’esatto importo da corrispondere all’impresa, partecipino al valore delle rimanenze almeno per il 50%, mentre concorreranno per intero dal momento in cui ne sarà certo l’ammontare per l’impresa destinataria.
L’applicabilità di tale disciplina deve essere coordinata con le disposizioni dell’art.26 del D.L. 50/2022 (legge 91/2022), in base alle quali le Stazioni appaltanti devono erogare le compensazioni utilizzando prioritariamente i propri fondi disponibili, e nel caso in cui questi siano insufficienti, le stesse possono accedere al Fondo adeguamento prezzi del Ministero delle infrastrutture e trasporti – MIT, facendone apposita richiesta.
A seguito di questa, il MIT comunica l’assegnazione dei fondi (anche mediante specifici Decreti direttoriali) e, entro 30 giorni dal trasferimento delle risorse, la Stazione appaltante deve effettuare il pagamento delle compensazioni all’impresa.
Tenuto conto di questa procedura, si ritiene che gli importi riconosciuti a titolo di aggiornamento dei prezzi debbano concorrere (come maggiorazioni di corrispettivo contrattuale) in misura piena alla valutazione delle rimanenze, ai fini delle imposte sul reddito, dal momento in cui l’impresa abbia la certezza dell’ammontare che le verrà riconosciuto (che, ad esempio, potrebbe essere quello dell’adozione del cd. SAL “bis” o anche quello del SAL “ordinario”, laddove, per ipotesi, le maggiori somme venissero assorbite all’interno di quest’ultimo) a prescindere dal materiale ed effettivo pagamento delle somme medesime.
Diversamente, dette maggiorazioni parteciperanno a determinare il valore delle rimanenze in misura pari al 50% del loro importo esclusivamente, e fintantoché, non ne sia conosciuto l’esatto ammontare.
Si osserva, infine, che in tema di appalti pubblici, per entrambe le fattispecie sopra illustrate, l’Agenzia delle Entrate aveva a suo tempo chiarito che il momento di ultimazione delle opere coincide con l’emissione del certificato di collaudo provvisorio e la successiva delibera di ammissione da parte della Stazione appaltante, senza che sia necessaria l’approvazione definitiva dello stesso (cfr. la R.M. 133/E/2005).
Si precisa, da ultimo, che questo indirizzo interpretativo non esclude che le imprese possano adottare criteri diversi di valutazione degli ulteriori corrispettivi ricevuti a causa del caro materiali, anche escludendo in caso di mancata erogazione della compensazione la tassazione provvisoria. Tuttavia, ciò potrebbe esporre l’impresa ad eventuali rischi di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.